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Gaza, situazione fuori controllo

Quanto sta succedendo a Gaza – e in genere nei territori occupati militarmente da Israele – non dovrebbe lasciare indifferente la politica, che in questo caso si dimostra in massima parte distante dall’opinione pubblica giustamente molto impressionata dalle notizie che giungono quotidianamente dai territori abitati dai palestinesi. L’uccisione di nove dei dieci figli di una coppia di medici palestinesi, che segue agli attacchi persino ai convogli umanitari e agli spari durante una missione diplomatica, la dice lunga su una situazione sempre più segnata dalla violenza.

Ogni giorno decine di persone perdono la vita a causa dei bombardamenti israeliani nella striscia di Gaza. Centinaia di migliaia di palestinesi sono ridotti alla fame a causa del blocco degli aiuti umanitari. È palese la volontà del governo di Benjamin Netanyahu di risolvere definitivamente con la forza l’annosa questione palestinese. Il brutale attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, ovviamente da condannare senza “se” e senza “ma”, sta fornendo al governo israeliano l’occasione per una risposta sproporzionata e che mira a cancellare ogni focolaio di resistenza o di dissenso, non solo attraverso l’uccisione di circa 60mila palestinesi, un terzo bambini, ma auspicando l’esodo dei superstiti.

Tutto ciò sta creando spaccature anche all’interno del fronte ebraico. Tanti israeliani condannano la politica e le azioni di Netanyahu, anche perché rischiano di fomentare l’antisemitismo su scala mondiale, come emerso non soltanto con l’uccisione dei due impiegati dell’ambasciata israeliana a Washington, ma anche con i fischi alla cantante israeliana all’Eurovision Song Contest a Basilea.

Tutto ciò sta sollevando un dibattito sullo stato della democrazia in Israele, un tempo ritenuta l’unica nazione democratica in Medio Oriente. Freedom House, una delle principali organizzazioni internazionali non governative, con sede a Washington, che dal 1941 conduce attività di sensibilizzazione sulle libertà politiche e i diritti umani, dà ad Israele un punteggio di libertà di 73 su 100 (l’Italia ha 89 su 100), ma specifica che tale punteggio vale soltanto per i territori internazionalmente riconosciuti di Israele, e non per quelli occupati militarmente, dove le condizioni autoritarie sono lampanti.

È stata in particolare la lunga leadership di Benjamin Netanyahu, premier tra il 1996 e il 1999, e poi quasi ininterrottamente dal 2009, ad indebolire la democrazia israeliana sia attraverso una serie di riforme molto discusse (maggiori diritti agli ebrei rispetto agli altri cittadini, retrocessione della lingua araba rispetto all’ebraico fino alla riforma della magistratura proposta dal governo nel 2023 per aumentare l’influenza dell’esecutivo sui giudici) sia, in particolare, con le azioni di guerra verso i palestinesi.

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